ALLATTAMENTO AL SENO: LUCI ED OMBRE

Il mese di ottobre è dedicato da diversi anni ad alcuni temi molto importanti per la psicologia perinatale. In particolare all’allattamento è dedicata la prima settimana del mese. Condividendo alcune informazione sull’allattamento al fine di stimolare una riflessione e condividere alcune conoscenze sull’argomento sui social, in questi ultimi giorni ho assistito ad un fenomeno che continuo vedere accadere tra le mamme quando si parla di allattamento… ovvero scatta la tifoseria. Ovvero l’argomentazione di principio. Sei pro o contro? Pro biberon? Ad orari o a richiesta? Pro alto-contatto? 
E finiamo tutte, ma proprio tutte, per dividerci in fazioni contrapposte, ci sentiamo quasi obbligate a prendere immediatamente una posizione, spesso una posizione a priori, senza esserci prese il tempo di ascoltare ed approfondire. 
Allattare anche se naturale, non è davvero una cosa facile; in primis perché allo stesso modo della gravidanza e del parto, l’allattamento è una delle fasi fondante la relazione tra madre e bambino e quindi come tale un momento cruciale nella vita di una donna e  notevolmente carico di aspettative. Inoltre anche se naturale, come per il parto, anche per l’allattamento si possono presentare delle situazioni difficili, problematiche e che generano ansia e preoccupazioni, situazioni che, tuttavia, potrebbero essere, per la maggior parte delle donne, superate se le neo-mamme ricevessero le opportune informazioni, l’opportuno sostegno, sia  da parte degli operatori, sia da parte della propria famiglia e in genere di tutta la società. 
Ecco il senso di giornate di sensibilizzazioni come quelle proposte in questi giorni! 
Fornire queste corrette informazioni! 
Perchè allora accade che ci si trovi difronte a tanta resistenza ad affrontare certi argomenti perché deve scattare immediatamente appunto la tentazione di schierarsi da una parte o dall’altra? 
Quasi ci fosse qualcosa di troppo urgente ed impellente da dover allontanare da noi stesse, qualcosa che probabilmente ci mette fortemente in discussione. 
Scegliere il meglio per il nostro bambino è di fatto un pensiero ed una preoccupazione primaria per ogni madre.
Ma pensiamo al retaggio che la donna porta su di se’ rispetto alla maternità …come facciamo ad accogliere il pensiero che allattare è cosi tanto faticoso dal farci decidere di scegliere di non volerlo fare o piuttosto dall’accettare che non ci siamo riuscite, come facciamo se questo significa ammettere di non essere riuscite a fare una cosa naturale e che per tanto tutte dovremmo essere in grado di fare? 
Forse continuare a dire che tutte possiamo allattare e di fatto assistere a cosi tante donne che non ci riescono, rinunciano o scelgono di non farlo mi viene da chiedermi se sia davvero la cosa ideale e la strada giusta per favorire l’allattamento stesso. 
Questa situazione sembra suggerire che non riusciamo di fatto ad accettare il pensiero che allattare è faticoso, e lo è per qualsiasi donna che a renderlo tale è la cultura e la società  in cui siamo immerse. Fino a qualche decennio fa la cultura di riferimento era, a riguardo, diversa e nonostante risultasse arretrata per la donna sotto la maggior parte degli aspetti, forse riusciva a fornire proprio quello di cui una madre necessitava per riuscire ad allattare il proprio bambino, ovvero sostegno e fiducia in lei e nel bambino. 
La cultura in cui viviamo oggi continua invece a mettere la donna difronte a situazioni paradossali e di fatto a minare la fiducia in sè stessa e nella sua capacità di vivere la maternità in modo naturale. Diventare mamma, mettere al mondo un figlio è un compito evolutivo estremamente delicato, un momento critico per la donna che avrebbe necessità di ricevere messaggi di fiducia e di ascolto ed avrebbe bisogno di tempo da dedicare a sè stessa per ascoltarsi e ascoltare i messaggi che il suo corpo le manda. 
La società invece sappiamo bene cosa ha richiesto e richiede alla donna: di competere, di essere capace e all’altezza di tutto, di essere in grado di realizzarsi professionalmente, di essere madri sufficientemente buone nell'accudimento dei propri figli e chi più ne ha più ne metta! 
Insomma dobbiamo riuscire in tutto e se in qualcosa non riusciamo, o riusciamo in tempi e modi diversi da quello che da noi ci si aspetta, che sia il lavoro o sia l’accudimento dei nostri figli, beh... in quel caso finiamo per sentire il peso del fallimento. 
Quando arriva il momento di diventare madre, ogni donna ha paura e può avvertire di non essere adatta o all’altezza, sono sentimenti normali e per questo che ogni donna avrebbe bisogno al suo fianco di persone, che le ricordino che non è sola, che la rassicurino e non la giudichino ma che ci siano quando lei avrà bisogno di loro, ma purtroppo no, non siamo abituate a tutto questo ed molto facile che invece finiamo per colpevolizzarci oppure, appunto, ci scagliamo contro altre donne, che in un certo senso con le loro vite e le loro scelte ci ricordano il nostro sentimento di inadeguatezza. 
Ed eccoci al punto... sia che siamo madri che abbiamo allattato fino al sesto mese come l’OMS raccomanda, sia che abbiamo scelto il latte artificiale ugualmente può accadere di  sentire di aver sbagliato, quando invece ad essere inadeguato è piuttosto il sistema e la cultura imperante intorno a noi.
Probabilmente il fatto che rende il tutto ancora più difficile è che tutto ciò riguarda ancora una volta il nostro corpo, che ancora una volta dopo la gravidanza ed il parto, è chiamato in causa. Cosi come durante la gravidanza, esso ha dovuto attraversare incredibili trasformazioni e affrontare l’esperienza travolgente del parto, adesso "ancora" nell’allattamento tocca a lui, ancora una volta esso è chiamato in causa. 
Pensiamoci un attimo: quel corpo, il mio corpo, che deve fare tutto da solo concepire, custodire la vita per nove mesi, dare alla luce quella vita ed infine nutrirla e ciò avviene senza che questo, il corpo, lo avessimo imparato ad ascoltare prima, senza che nessuno ci abbia mai aiutato ad accogliere i suoi messaggi e a fidarsi di lui. 
Di fatto viviamo in una società la cui cultura di riferimento ci manda messaggi equivoci proprio a riguardo, il corpo non si ascolta, non si ascoltano i suoi messaggi e si cerca immediatamente qualcosa che dal di fuori ci dica come smettere di farlo parlare, lasciandolo di fatto in un angolo, come se non contasse e non fosse poi a lui che si chiede di trasformarsi, partorire e allattare! 
Un corpo che prima viene depredato e i suoi messaggi distorti ma che quando sarà il suo momento, come nel caso della maternità, è appunto lui ad essere chiamato prepontemente in causa e dovrà fare la sua parte "in modo efficiente" se vogliamo che tutto fili liscio…un bel paradosso a pensarci quello che la nostra cultura offre a noi donne!!
Un paradosso dietro l’altro…
Pensiamo al parto in cui il corpo è stato, per anni e forse ancora oggi, medicalizzato, pensiamo a questo momento che di fatto sempre più spesso viene vissuto quasi come se fosse una malattia, con il risultato che sempre più spesso assistiamo a delle complicazioni,  o quanto meno a delle situazioni che si allontanano dalla fisiologia e questo fondamentalmente perché stiamo andando nella direzione contraria rispetto a ciò che il nostro corpo farebbe, se semplicemente gli permettessimo di farlo, di fare cio che sa fare;  tutto ciò, per altro,  ha delle conseguenze non solo sul tipo di parto che una donna vivrà ma ha delle ripercussioni negative anche sull’allattamento. 
Un parto assistito con rispetto infatti è la prima vera preparazione per un allattamento efficace.
Ma non finiscono qui i paradossi…pensiamo a come vengono vissuti i primi minuti di vita del neonato dalla diade; il neonato è in quella fase in cui lentamente molto lentamente si sta adattando al mondo fuori del ventre materno, all’aria, ai suoni, alle luci…, preso da mani sconosciute e girato e rigirato, lavato, aspirato (pratica adesso fortemente in calo nelle sale parto) asciugato, misurato, vestito in fretta e furia ed alla fine di tutto ciò, che non può che essergli sgradito se non penoso, perfino allontanato dalla sua mamma e portato al nido dove altre luci, altri suoni e tocchi lo disorienteranno ancora di più!  
Questa è stata la norma per la stragrande maggioranza delle nascite degli ultimi decenni. Separati e ricongiunti a tempo debito variabile, tuttavia mamma e bambino hanno trovato comunque la loro relazione. Un modo di stare insieme e conoscersi. Ma con quali fatiche! 
Il nutrimento di quei primi giorni dovrebbe passare da uno scambio di un corpo con un altro corpo, un “pelle a pelle” molto spesso negato e osteggiato, impedendo al bambino di sperimentare il suo innato istinto di trovare e raggiungere il seno della mamma. 
Il breast-crawl per generazioni di bambini e di mamme è stato qualcosa di completamente inesistente e sconosciuto. 
Oggi però noi lo sappiamo.                    
Dal paradosso del parto controllato e misurato si passa al paradosso della misura del latte: quanto latte (quanti grammi) e ogni quanto tempo (il neonato deve poppare a intervalli regolari di 3/4 ore e poi di nuovo pesato e misurato) una misura ovviamente rigorosamente uguale per tutti i bambini. 
Le parole d’ordine sono quindi efficienza, misura, programmazione ovvero l’applicazione esatta dei valori post-industriali alla vita dell’uomo e non intimità, lentezza, soggettività e ascolto ciò che invece richiederebbero la mamma ed il suo bambino. 
Paradossale, ovviamente, anche perché ogni bambino è diverso come lo è ogni donna ed ogni storia, troppo più facile optare per la misura, vista l’immensità del compito, una tentazione irresistibile, a cui la nostra cultura non ha saputo proprio rinunciare.  
Tanto facile quest’opzione quanto errata e questo non dobbiamo e non possiamo dimenticarcelo se abbiamo a cuore la salute bio-pscio-sociale delle persone.
È nostro diritto scegliere di non allattare, e questo resta inalienabile e al di fuori di ogni giudizio. Quello che invece si può giudicare è il paradosso culturale che dagli anni ’70 accompagna ogni mamma verso la maternità e l’allattamento: ovvero il ritenere che il sostituto del latte materno e del seno siano un’opzione valida come un'altra.
Il denominatore comune per superare questi paradossi, a onor del vero in parte superati negli ultimi anni ma non ancora del tutto scardinati, è proprio ripartire dal corpo. 
Un corpo vissuto e non controllato o misurato, un corpo libero di inviare i suoi messaggi, in cui la principale cosa da fare è sperimentare la fiducia e riscoprire il piacere di lasciar fare proprio al corpo, quello della mamma e quello del bambino, il suo naturale compito, appreso attraverso milioni di anni di evoluzione.

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